Un percorso, o meglio, un’immersione alla scoperta di alcuni meccanismi, sfumature ed evoluzioni del mondo della moda e dello sportswear visti con gli occhi di una professionista delle PR.
Oggi lasciamo la parola alla PR Manager Angela Suriano che, grazie a una lunga esperienza all’interno di questi settori, ci aiuterà a cogliere alcuni tratti fondamentali dal punto di vista comunicativo.
Nella tua esperienza hai lavorato principalmente nei settori della moda e dello sportswear: come si è evoluta la comunicazione in questi settori nel corso degli anni?
Ho cominciato a lavorare come PR di moda proprio nel momento in cui gli influencer esplodevano sulla scena, affiancando i giornalisti nella comunicazione dei brand (non dirò mai “sostituirsi”, perché credo fortemente nel ruolo e nell’autorevolezza di questi ultimi). Quando studiavo all’università, Chiara Ferragni puntava ancora tutto sul suo blog, Instagram non era ancora in balia di marchi e celebrities ma era evidente che questo social avesse tutte le carte in regola per ribaltare il sistema. Così che da un giorno all’altro mi sono ritrovata a scrivere comunicati stampa per il lancio di collezioni da inoltrare ai giornalisti da un lato, ed inviare gli “hero style” di quelle stesse collezioni ad influencer del mondo moda con la speranza che indossassero e postassero quei capi il più possibile. Più lavoravo su questi due fronti, più mi rendevo conto che per il brand avere una presenza sui social aveva molto più valore che essere sulla pagina di un magazine lifestyle di primo livello.
Se però i social hanno inizialmente favorito una tendenza ad allontanarsi dalla dimensione del “sogno”, dell’utopia irrealizzabile, e dell’aspirazionalità per avvicinarsi alle persone e immergersi nella “quotidianità”, nella possibilità e nella realizzabilità, ultimamente si sta assistendo a un’inversione di rotta: i marchi del lusso stanno ritornando alla loro nicchia di esclusività, basti guardare ai vertiginosi aumenti di prezzi, a cui si aggiungono ancora più collezioni in edizione limitata, liste d’attesa infinite per modelli iconici di borse e esperienze esclusive riservate a clienti VIP. Durante la Paris Fashion Week, ad esempio, le gemelle Olsen, menti creative dietro il brand The Row, hanno sovvertito una delle regole auree del fashion business – condividere sempre e comunque e diffondere il sacro verbo della moda tramite qualsiasi canale possibile – chiedendo al proprio pubblico di astenersi dal postare qualunque contenuto social riguardante la loro sfilata.
Per quanto riguarda lo sportswear, il prodotto è diventato sempre meno legato al mondo della performance e sempre più al mondo athleisure. Le sneakers non si indossano più solo per andare in palestra, ma sono ormai un accessorio che trova posto persino nelle sale riunioni più altolocate, sotto agli abiti gessati. La comunicazione ha seguito questa tendenza: i testimonial e gli ambassador dei più importanti brand non sono più solo campioni sportivi – che vengono in compenso ingaggiati da altri marchi, dal lifestyle al lusso – ma anche cantanti, attori, personaggi dell’entertainment e persino gente comune. Un ruolo fondamentale lo stanno svolgendo i grandi eventi podistici aperti a tutti: vere e proprie “feste” in cui lo sport si unisce all’entertainment. Questi eventi non sono più limitati a una partecipazione puramente agonistica, ma sono aperti a adulti, bambini, anziani, amatori ed esperti. I più importanti brand di sport sono felici di partecipare come sponsor tecnici, sottolineando ulteriormente l’evoluzione dello sportswear verso un’inclusività che abbraccia tutti gli aspetti della vita quotidiana.
- Su cosa bisogna puntare per una strategia di PR vincente nel settore fashion?
È fondamentale mettere in luce l’elemento distintivo del brand. In un settore caratterizzato da una forte competitività e dalla nascita di nuovi marchi a un ritmo vertiginoso, è essenziale individuare quel quid che distingue il marchio e lo rende unico rispetto agli altri. Questo può essere il design innovativo, la storia ispiratrice del o della founder, le scelte etiche o la visione aziendale. Per farlo, è necessario approfondire e creare un rapporto di massima fiducia con i clienti: solo così sarà possibile raccontare il prodotto in modo autentico e convincente. Inoltre, è cruciale mantenere l’onestà e l’integrità: evitare operazioni di greenwashing o altre strategie poco trasparenti che possono essere attraenti a breve termine ma dannose nel lungo periodo, compromettendo la credibilità del brand. Infine, è importante offrire esperienze concrete ai giornalisti, permettendo loro di conoscere e toccare con mano il prodotto. I press day stagionali sono occasioni fondamentali per presentare il brand, da affiancare a eventi esclusivi come release speciali, incontri con ambassador e viaggi stampa, che consentano una conoscenza più approfondita e coinvolgente.
- Un altro settore nel quale hai sviluppato forti competenze è quello della musica. In che modo un piano di PR e Media Relations può rafforzare l’awareness dei player che operano in questo settore?
Ho la fortuna di lavorare da due anni con un’importante e dinamica realtà del mondo della formazione nelle discipline creative, ovvero SAE, l’Accademia presente da oltre 25 anni a Milano e con altri 29 campus in Europa. SAE è leader nel settore dei corsi in Music Business e Music Production, e per promuovere la sua offerta formativa organizza periodicamente workshop e tavole rotonde in sede con nomi importanti del panorama musicale, prende parte ad importanti eventi in qualità di partner (Milano Music Week, Linecheck) ed è attivo nell’ambito della ricerca sulle tematiche di genere nell’industria musicale
Oltre a comunicare i numerosi eventi invitando la stampa di settore, il nostro lavoro si è focalizzato nel far conoscere SAE e i suoi corsi attraverso una comunicazione che evidenziasse uno degli elementi di maggior valore della scuola: il personale accademico e i professionisti che gravitano attorno al suo mondo. Grazie ai loro preziosi contributi su tematiche come l’intelligenza artificiale o l’ascolto consapevole, abbiamo realizzato comunicati stampa di approfondimento che sono serviti come base per proposte di intervista e per accreditare SAE come fonte autorevole di informazioni.
Parallelamente, per esaltare la leadership di SAE in ambito formativo e focalizzare l’attenzione sull’offerta corsistica, abbiamo realizzato comunicati sulle professioni del domani in ambito musicale, sfruttando l’onda mediatica di eventi come Sanremo.
- Il mondo dei media è in costante evoluzione. A parte i media tradizionali, su quali canali secondo te vale la pena investire per diversificare la propria strategia e perché è importante farlo?
Probabilmente dirò qualcosa di impopolare e controcorrente, ma sono fermamente convinta che investire nei media tradizionali sia ancora una strategia vincente e che non si debba cedere unicamente alle lusinghe del web. Credo che la carta stampata sia ancora sinonimo di autorevolezza e qualità, offra l’opportunità di approfondimenti accurati e si presti a una lettura più attenta e ragionata. È un peccato sacrificarla in favore di prodotti dalla fruizione “fast”, come i social, che ci spingono a leggere solo i titoli, guardare unicamente le immagini o prendere per vere alcune notizie senza sentire il bisogno di verificarne le fonti.
Non demonizzo il web o i social network, anzi, ritengo che siano strumenti che, se ben utilizzati e inseriti in una strategia integrata, possono aggiungere valore e raggiungere un pubblico più ampio, soprattutto i più giovani. Il punto cruciale è proprio questo però: da un lato, bisognerebbe educare all’uso corretto dei mezzi di comunicazione e, dall’altro, noi uffici stampa dobbiamo lavorare nel modo migliore possibile per dare supporto a clienti e giornalisti, fornendo informazioni quanto più corrette e complete.
- Secondo la tua esperienza, quali errori possono ostacolare una buona riuscita di un progetto di PR?
Può succedere di non sentire particolare affinità verso un progetto o l’ambito in cui opera un cliente. Questo può portare a una scarsa motivazione nello studiare il settore e approfondire l’argomento, minando la proattività nei confronti dei clienti, scoraggiando la creatività e provocando un appiattimento dei contenuti. La mancanza di curiosità pregiudica la buona riuscita di un progetto perché impedisce di diversificare i contenuti e rende difficile fare proposte al cliente anche in mancanza di notizie.
Purtroppo, più che un vero e proprio errore, si tratta di un episodio che può accadere a qualsiasi PR, anche al più bravo: non pregiudica una carriera, ma può creare delle difficoltà. Il mio modo per sbrogliare questo genere di nodi è il confronto: ho dei colleghi o delle colleghe che hanno già seguito clienti del genere e che possono darmi dei consigli? Conosco qualcuno che opera nel settore e che può dirmi di più? Per stimolare la curiosità mi dico sempre: ho l’occasione per imparare qualcosa di nuovo: perchè non sfruttarla?
- Quali sono le skills più importanti che secondo te deve avere un/una PR?
Mi ripeterò, ma dico ancora una volta: la curiosità! A cui aggiungo l’apertura e la voglia di esporsi: è essenziale sapere cosa sta accadendo nel mondo, leggere, guardare la TV, partecipare ad eventi, ascoltare la radio, uscire, viaggiare, parlare con le persone.
“Essere immersi” è la chiave per comunicare.
Ammiro molto le mie colleghe che possiedono intuito, una dote preziosa e rara, e che permette di individuare i giusti tagli per i comunicati, o fare delle associazioni immediate per agganciare dei contenuti a notizie di qualità.
La scrittura è una qualità insostituibile: ogni messaggio, se presentato nel modo giusto, ha molte più probabilità di essere letto e ricordato.
E infine, la gentilezza e l’educazione, i pilastri su cui si fondano tutte le relazioni.